Vitigni autoctoni e tradizionali nella “piantata” e nei bersò del Museo
a cura di Pietro Zandigiacomo
Nell’ambito delle attività a salvaguardia dell’agro-biodiversità e del paesaggio tradizionale agrario regionale condotte da tempo dall’Ecomuseo della Gente di Collina “Il Cavalîr” si deve
annoverare anche la tutela di alcuni vitigni autoctoni friulani allevati nel vigneto posto nelle immediate pertinenze della sede del Museo della Vita Contadina “Cjase Cocel”, verso est.
Il vigneto, realizzato a metà degli anni ’90 del secolo scorso, ripropone (nella parte centrale dello stesso) la tradizionale “piantata”, ovvero una particolare forma di gestione dello spazio
agrario dove in coltura promiscua si trovano tre coltivazioni: una arbustiva (la vite), una arborea (i tutori vivi della vite/vigneto, ovvero alberi da foglia, da frutto o da legna) e una
erbacea (cereali, ortaggi o prato stabile). In questo caso le viti, allevate a controspalliera, sono sostenute da alberi vivi costituiti da gelsi (che sostengono i fili di ferro), mentre l’ampio
interfilare è destinato a prato stabile per ottenere foraggio utile per gli animali allevati nella stalla. Questa forma di gestione venne poi sostituita da vigneti specializzati “a palo secco”,
con interfilari molto più ravvicinati che di norma non permettono la coltivazione di altre piante agrarie. Ovviamente i gelsi del vigneto (in friulano morârs), capitozzati, vengono
potati annualmente, affinché la chioma non faccia troppa ombra alle viti. I gelsi (le cui foglie venivano utilizzate per l’allevamento dei bachi da seta; in friulano cavalîrs) potevano essere
sostituiti da altre piante arboree con diversi impieghi: es. l’olmo campestre (in friulano olm) (le foglie venivano utilizzate assieme alla crusca – in friulano semule – per il finissaggio
autunnale dei maiali – quale il famoso Purcit neri di Feagne o di Sant Denêl), il salice da vimini (in friulano vencjâr) (i rami flessibili venivano utilizzati per legare le viti e fare cesti), il
susino (in friulano ciespâr) (i dolci frutti maturavano a metà agosto prima delle vendemmie), il noce (in friulano cocolâr) (i frutti erano molto ricercati in quanto conservabili a lungo;
poiché le chiome del noce facevano troppa ombra e gli alberi potevano cresce molto, si piantavano preferibilmente all’inizio dei filari – quindi “in testa”), e altre specie.
Nel solco della tradizione le viti, i tralci e i fili di ferro della piantata sono ancora legati con i tradizionali rametti di vimini (in friulano vencs), che come si sa sono pure “biodegradabili”; in
particolare, lungo un lato del vigneto sono allevate in filare diverse piante di salice da vimini (anch’essi a capitozza), da cui si prelevano annualmente i rami per legare le viti e per altre
attività tradizionali (es. realizzazione di cesti vari) messe in atto dal Museo. Il vigneto è costituito da sette filari (in friulano plantis) che in media raggiungono i 60 metri di lunghezza; i filari centrali, come detto, costituiscono la piantata, quelli laterali, invece, sono a “palo secco” (con i tradizionali pali di acacia).
Ma veniamo alle varietà di vite europea (Vitis vinifera) messe a dimora, che sono ben otto. Due filari sono di ‘Pignolo’, uno di ‘Refosco dal peduncolo rosso’, uno di ‘Cabernet
Sauvignon’, uno di ‘Merlot’, uno è costituito per metà da ‘Verduzzo friulano” e per il resto da ‘Tocai friulano’, l’ultimo per metà da ‘Picolit’ e per il resto ancora da Tocai friulano; lungo un
filare ci sono anche alcuni ceppi di ‘Malvasia istriana’.
Si tratta di quattro vitigni da considerarsi autoctoni friulani, ovvero il Refosco dal peduncolo rosso, il Pignolo, il Verduzzo friulano e il Picolit; il vitigno Tocai friulano è di origine francese
(colà un tempo era noto come ‘Sauvignonasse’), ma da decenni è coltivato solo in Friuli e in poche altre aree; il Merlot e il Cabernet Sauvignon sono due vitigni “internazionali”, sempre
di origine francese, che in ogni caso sono coltivati anch’essi da decenni in Friuli e sono da considerarsi tradizionali; infine, la Malvasia istriana, facente parte della grande famiglia delle
Malvasie di origine ellenica, la “regina” dell’Istria, da secoli è presente anche nell’Italia nord- orientale e in altre aree. Si deve ricordare che quando un tempo in Friuli si chiedeva un ‘tai
di blanc’ o un ‘tai di neri’ in osteria, di norma veniva somministrato, rispettivamente, un bicchiere di Tocai (ora si dovrebbe dire ‘Friulano’) o di Merlot.
Le viti di Picolit, in particolare, vogliono ricordare le attività (prima sperimentali e poi "commerciali”) messe in atto dal Conte Fabio Asquini (1726-1818), agronomo, che nelle sue
vigne in collina di Fagagna coltivò estesamente questo vitigno producendo, a partire da uve appassite con una tecnica particolare, un vino dolce in bottiglia conteso dalle principali
capitali e corti europee, da Londra a Parigi e Amsterdam, dalla corte imperiale di Vienna a quella di Mosca e, infine, a quella Papale.
Ma presso il Museo non mancano altri “elementi” viticoli tradizionali; sono presenti alcune pergole (in friulano bersò o piergules) addossate ai muri di sasso con esposizione sud, per
fornire ombra e grappoli. Il vitigno utilizzato è l’’Isabella’ (detto anche ‘Americano nero’ o 'Uva fragola’; in friulano ‘Merican neri’ o ‘Frambue’) (la specie è Vitis labrusca), tipico vitigno
con grappoli da utilizzare come uva da tavola o per la vinificazione (sono presenti almeno due biotipi a diversa epoca di maturazione). Il vino, secco o frizzante, era ed è famoso per
l’aroma di “fragola” (detto anche “volpino”, o in termina tecnico anglosassone “foxy”). Le pergole di Isabella sono poste nel cortile principale sull’edificio che ospita la stalla e nel
cortile secondario ove sono presenti il mulino (in friulano mulin) e il laboratorio del fabbro (in friulano farie).
Pertanto, presso il Museo di Cjase Cocel possiamo osservare un vigneto e pergole che un tempo non troppo lontano erano presenti nelle pertinenze di tutte le case rurali e coloniche
ed erano parte integrante del paesaggio tradizionale; i diversi vitigni coltivati e i relativi vini sono un esempio della diversità viticola ed enologica di cui è assai ricca la nostra regione.